Il concetto di economia circolare trova le sue origini nel 1976 nel lavoro congiunto di un architetto e di una economa, Walter R. Stahel e Genevieve Reday-Mulvey, in occasione della redazione del report dal titolo “Jobs for Tomorrow” (I lavori di domani) nel quale si analizzava la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero.
La teoria è stata ulteriormente sviluppata da William McDonough e Michael Braungart, che fin dall’inizio del loro lavoro si sono ispirati a ciò che avviene in natura, dove nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma.
L’obiettivo finale dell’economia circolare è ridurre il più possibile la produzione di rifiuti, nell’ambito di un modello economico in cui si ha bisogno di definire come poter trarre il massimo valore da prodotti o sottoprodotti di cui non si ha più bisogno in un determinato comparto produttivo.
Una economia circolare ideale è “un sistema industriale in cui il consumo dei materiali e dell’energia e la produzione dei rifiuti sono ridotti ai minimi termini, e il materiale scartato in un qualche processo produttivo diventa materia prima per un altro” (Ashby, 2015).
Seguendo questo ragionamento, l’edilizia è chiamata a pensare “in positivo”, prendendo spunto da ciò che avviene in natura, ovvero cercare le risorse per costruire sfruttando ciò che si ha già, che siano edifici esistenti, energie rinnovabili, scarti o rifiuti. La natura ci insegna a fare bene con meno materiale possibile: l’essere umano è l’unico animale che non utilizza prodotti di scarto per costruire la propria casa.
Oggi è possibile per il genere umano promuovere una rivoluzione edilizia che ci consenta di colmare il debito che abbiamo nei confronti della natura, tornando a costruire edifici salubri e confortevoli con l’impiego di materie prime seconde, in un modello circolare positivo che non imponga alcun sacrificio in termini di salubrità, comfort ed estetica.
Negli ultimi decenni si è pensato gli scarti organici sono stati utilizzati soprattutto per produrre energia con svariate modalità e tecnologie, che sono diventate man mano più sofisticate ed efficienti. La biomassa è considerata fonte di energia rinnovabile poiché la CO2 prodotta in fase di combustione viene compensata da quella catturata durante la crescita delle piante originarie da cui deriva. Rispetto all’uso di combustibili fossili, l’utilizzo della biomassa in questo senso risulta nettamente più virtuoso in termini di bilancio ambientale.
L’incenerimento di chilogrammo di rifiuti organici (e quindi di biomassa) produce circa 2,15 chilogrammi di CO2 equivalente, contro i 2,75 nel caso venga trasportato in discarica e i 0,15 quando viene destinato ad un impianto di compostaggio. L’utilizzo di biomassa in forma di scarti agroalimentari per la produzione di materiali edili non comporta invece alcuna emissione immediata di CO2, anzi risparmia quella connessa alla produzione di componenti “ordinari” che altrimenti sarebbero stati utilizzati al loro posto e che non c’è più bisogno di produrre.
Se gli edifici che usano questo genere di materiali vengono concepiti secondo i principi dell’edilizia circolare, ovvero completamente “disassemblabili” a fine vita, la materia prima seconda naturale utilizzata potrà tornare nel ciclo biologico dopo avere condotto una lunga vita come componente edilizio, migliorando notevolmente l’impronta ecologica legata alle emissioni dello stesso .
Si consideri che il chilogrammo di rifiuti organici di cui si parlava in precedenza una volta utilizzato come biomassa per essere bruciato e generare energia vale circa 0,85 euro (fonte Eurostat); lo stesso chilogrammo utilizzato come materia prima seconda per un prodotto edile arriva a valere 6 euro. La trasformazione dei rifiuti organici secchi, e quindi degli scarti agroalimentari, in prodotti utili edili rappresenta quindi un grosso potenziale economico, anche in considerazione del fatto che alcune statistiche, riferite all’anno 2004, mostrano come nell’Unione Europea vengano generati ogni anno circa 2,6 miliardi di tonnellate di rifiuti, di cui circa 43,4 milioni di origine naturale (fonte Eurostat).
Gli scarti agroalimentari possono essere quindi valorizzati come materie prime seconde, diventando così l’input principale di un nuovo processo produttivo afferente il mondo dei componenti per l’edilizia, a sua volta capace di generare nuove opportunità produttive e nuovi modelli di business capaci di potenziare le opportunità per lo stesso settore agroalimentare. In questo modo, ispirandosi ai cicli chiusi della natura, si crea una nuova relazione tra due settori che ad oggi sembrano estranei ma a ben guardare nel passato risultavano complementari. Si tratta di un modello virtuoso di economia circolare che ogni progettista può contribuire a far crescere attraverso le proprie scelte quotidiane.
Costruire edifici con materiali naturali, e nello specifico usare prodotti derivanti da residui agricoli (come la maggior parte degli isolanti di origine naturale oggi in commercio), non significa penalizzare la salubrità ed il comfort all’interno dei nostri edifici, tantomeno compromettere la qualità costruttiva degli stessi. L’impiego di questo genere di materie prime seconde per la produzione di materiali edilizi caratterizzati da un ottimo contenuto tecnologico è al centro della evoluzione che il settore edilizio sta compiendo, che consente di impiegare cicli produttivi circolari a favore della salubrità dei nostri ambienti e del futuro del nostro pianeta. Solo in questo modo è possibile ridurre ulteriormente la pesante impronta ambientale del settore edilizio convenzionale.
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Beatrice Spirandelli
Architetto, progettista certificato Passivhaus, autrice di libri e articoli, relatrice a conferenze internazionali, docente di tipologia dei materiali e illuminotecnica presso lo IED di Milano