Progettare senza barriere architettoniche.
Quando progetto la ristrutturazione di un appartamento, viene sempre il momento fatidico di affrontare la “verifica di adattabilità” al superamento delle barriere architettoniche, che significa trovare, a posteriori, una ipotetica soluzione di redistribuzione del bagno, spesso eliminando uno o due sanitari, purchè ci sia lo spazio per la rotazione della carrozzella. Capita quindi di scoprire che il bagno è troppo piccolo, o ha una forma non adatta alla trasformazione, e che quindi occorra intervenire, magari spostando un muro. La reazione del cliente, sempre, indipentemente da estrazione sociale, cultura, appartenenza a gruppi impegnati nel sociale è: “ma perchè? io non sono mica disabile!“. Ora, a parte il fatto che (toccati pure dove vuoi), potresti diventarlo da un momento all’altro, magari anche solo per un breve periodo, perchè ti sei rotto entrambe le gambe sciando (hai tirato un sospiro di sollievo, eh?), abituati a pensare che “niente è tuo per sempre”, nemmeno la tua casa!
Ecco perchè oltre al regolamento di igiene, è doveroso rispettare anche le leggi sul superamento delle barriere architettoniche.
A dirla tutta, nemmeno la forza di reggerti in piedi, camminare, saltare e ballare, potrebbe essere tua per sempre… ne sto amaramente facendo esperienza andando a trovare mia madre alla RSA presso cui è ospite, insieme a molti altri anziani non autosufficienti e in carrozzina, come lei. Lei che ha sempre usato le gambe per andare ovunque, e che rammaricandosi di non poter andare ancora più veloce diceva “non ho mica le ruote!“. Anche ora che le ruote le ha, non riesce a stare ferma un minuto! Ma la sua casa è al terzo piano senza ascensore, e con un bagno largo sì e no un metro…
Confesso che anche noi architetti viviamo spesso come una barriera alla nostra “creatività” il rispetto della legge in materia, soprattutto quando dobbiamo intervenire sull’esistente.
Per quanto riguarda le nuove costruzioni, io a dire il vero ho sempre trovato architettonicamente più interessante la “rampa” piuttosto che la scala, soprattutto quando si tratta di spazi aperti e/o pubblici. Ed è veramente incredibile che ancora la stragrande maggioranza degli edifici pubblici, ma anche privati ad uso pubblico, come bar, alberghi e negozi, siano, di fatto, inaccessibili. È incredibile e anche incomprensibile, perchè l’accessibilità non riguarda solo una minoranza di “sfigati” che potrebbero anche starsene a casa e mandare in posta un parente…lo sa chi ha avuto un figlio e ha dovuto ogni volta prenderlo in braccio, chiudere il passeggino e caricarsi entrambi dentro all’edificio, o salire su un tram non sapendo con quale altra mano aggrapparsi!
In edilizia residenziale, il problema è quasi sempre di spazio, in termini di mq di superficie, sempre così scarso e dettato da calcoli speculativi, che preferiscono delegare il problema, e quindi la soluzione, a chi avrà la “sfortuna” di doversene fare carico.
Da un po’ di tempo sentivo l’esigenza di scrivere una riflessione sulle barriere architettoniche, senza la rimozione delle quali una casa non sarà mai “giusta”, e come sempre quando penso a qualcosa, l’universo, o chi per esso, mi fornisce l’input migliore. E così mi è capitato di leggere un titolo provocatorio sulla bacheca di un’amicizia Fb. Ho aperto l’articolo e fatta la conoscenza (virtuale, ovvio), di Angela Gambirasio, autrice del libro “Mi girano le ruote” e del blog “Ironicamente diversi“.
Prima di scrivere questo post, le ho chiesto se aveva piacere di farlo lei (perchè codardamente non volevo rischiare di scrivere banalità comuni). Non ne aveva il tempo, ma mi ha gentilmente offerto di “pescare” a piacimento dal suo blog. Ho così trascorso due ore a leggere rapita per il piacere di farlo, dimenticandomi completamente del motivo per cui lo stavo facendo.
Non sono riuscita a fare “copia-incolla”, a selezionare paragrafi ad effetto per la mia “buona causa”, non perchè non sappia fare Ctrl-C/Ctrl-V… è che sarei andata ben oltre le 500 parole consigliate dal “manuale del blogger di successo”!
Chiudo però con questo pensiero di Angela:
“Se tutti riuscissero a capire che noi siamo la soluzione ai problemi degli altri, e viceversa, forse ne potremmo risolvere molti di più.”
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Rina Agostino
Architetto, si occupa di Bioedilizia, Bioclimatica ed Efficientamento Energetico degli edifici. Esercita la libera professione principalmente in provincia di Varese e Novara.
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Concordo con Iosè. Facendo volontariato in un reparto di unità spinale so bene quali siano le difficoltà incontrate dai disabili ogni giorno. Le barriere architettoniche sono ancora molte, troppe intorno a noi.
Negozi accessibili, marciapiedi larghi e senza gradino, ascensori a misura di carrozzina, bagni accessibili, sono ancora spesso un’utopia. Ho conosciuto persone che dopo aver subito un incidente con trauma irrerversibile, non hanno più potuto rientrare nella propria abitazione perchè era impossibile arrivare al proprio piano o perchè il bagno era troppo stretto. Quindi è davvero il caso di pensare a questo aspetto che può davvero toccare tutti.
La mia vita era tranquilla, scorreva normalmente fino a quando, per una semplice caduta, il mio femore ha pensato bene di sfondare l’ acetabolo. Il risultato che sono stato per sei mesi in sedia a rotelle e ho visto il mondo da un punto di vista completamente diverso.
Le case normali non sono fatte per i disabili, semplicemente non ci si può muovere come non ci si può neanche lavare!! La stessa cosa vale per tutti i luoghi dove si svolge l’ esperienza della vita: provate ad andare a fare un giro in città :-)))
provate a uscire per fare la spesa o ad andare ad un funerale di un conoscente oppure in una biblioteca o in università. Se fossi il ministro dell’ istruzione renderei obbligatorio un trimestre in sedia a rotelle per ogni architetto progettista prima di discutere la tesi, senza non c’ è alternativa.